Approda in Cassazione il lungo processo sul caso Mastrogiovanni, il maestro elementare di Castelnuovo Cilento la cui morte ha aperto la riflessione sull’impiego del Tso e sulle pratiche di cura mentale in Italia. Il prossimo 19 giugno si terrà la prima udienza della Suprema Corte che dovrà vagliare i ricorsi presentati dalle parti civili e dagli imputati rispetto alla sentenza di appello che nel novembre 2016 condannò il primario Michele Di Genio, i medici Rocco Barone, Raffaele Grasso, Amerigo Mazza, Michele Della Pepa, e Anna Angela Ruberto pur dimezzando loro le pene comminate in primo grado e gli infermieri De Vita, Cirillo D’Agostino, Minghetti, Russo, Cortazzo, Tardio, Scarano, Gaudio, Fortino, Oricchio e Luongo. Dal marzo scorso, quando sono state rese noto le motivazioni della sentenza di appello, che ha riconosciuto come disumana e illecita la contenzione a cui venne sottoposto Mastrogiovanni e ridato piena autonomia alla professione dell’infermiere, non un mero esecutore degli ordini del medico e dunque responsabile del trattamento del paziente, si sono susseguiti gli appelli della famiglia Mastrogiovanni e delle associazioni costituitesi parte civile al processo affinchè venisse ridiscussa la sentenza. “Un verdetto importantissimo – disse all’epoca Luigi Manconi ma ci pare che la decisione d’Appello non sciolga gli interrogativi che questa vicenda solleva.” E ancora la nipote di Mastrogiovanni, Grazia Serra ebbe a denunciare che intanto i medici e gli infermieri condannati continuavano a lavorare, l’Associazione Robin Hood chiese ulteriori indagini sull’applicazione all’insegnante del Tso, e i Radicali rilanciarono la necessità della tutela legale provvisoria per chi viene sottoposto a questo trattamento. Un pressing che ha contribuito a mantenere vivo il dibattito e l’attenzione nazionale sul caso su cui ancora si cercano risposte. Questa volta dalla Cassazione. Il prossimo 19 giugno si torna, dunque, in aula a Roma per il round finale.
Daria Scarpitta