Non si ferma la vicenda relativa al caso Mastrogiovanni che ha avuto il merito di riaprire la riflessione sul Tso, la contenzione e i trattamenti riservati ai pazienti con problemi psichiatrici. Dopo la condanna definitiva per medici ed infermieri da parte della Cassazione, la famiglia del maestro elementare originario di Castelnuovo Cilento ha presentato un nuovo esposto, a firma dell’avvocato Loreto D’Aiuto, questa volta per richiamare alle proprie responsabilità l’Asl di Salerno e i suoi funzionari, compresi i dirigenti dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania, teatro della tragica vicenda. L’azienda sanitaria salernitana nel corso del processo ha avuto due ruoli, quello di responsabile civile, perché accusata dai familiari di Mastrogiovanni, e quello di parte civile, cioè danneggiata dalle condotte dei suoi stessi sanitari. Secondo D’Aiuto questo non avrebbe che fatto allungare la durata del processo. “Riteniamo – ha detto – che l’Asl non si potesse più costituire parte civile, in quanto già responsabile civile, tanto che infatti poi nel processo ha di fatto collaborato con gli imputati ledendo così i diritti degli eredi Mastrogiovanni. Per questo suo doppio ruolo ha nominato ben due legali che non hanno mai voluto dialogare con la famiglia. Chi li ha pagati e sulla base di quali prove hanno rifiutato ogni contatto? L’Asl, inoltre, – ha continuato D’Aiuto – avrebbe dovuto mettere a disposizione dell’Autorità giudiziaria tutto quanto appurato attraverso la propria indagine. In 89 ore di agonia e contenzione, nessuno ha controllato. Quali relazioni hanno scritto i funzionari per un evento così drammatico?”. Di qui la richiesta alla Procura di Vallo della Lucania di accertare se l’Asl fece o meno un’indagine interna, se ha mai deliberato la contenzione dei pazienti e sulla base di quali prove in suo possesso non ha mai dialogato con i familiari di Mastrogiovanni, che ora tornano a chiedere giustizia nei confronti di tutti i coinvolti nella vicenda. Subito dopo la sentenza della Cassazione, la nipote del maestro, Grazia Serra, aveva già denunciato che nessuna delle persone dichiarate colpevoli in via definitiva era finita in carcere, per gli effetti della pena sospesa né era stata sospesa dal lavoro. Una giustizia parziale, quindi, nei cui confronti i familiari non vogliono arrendersi.
Daria Scarpitta