L’inchiesta della Procura di Salerno è partita molto prima dell’ufficiale indizione delle due gare al centro della vicenda. Secondo quanto hanno ricostruito gli inquirenti, già a fine gennaio, quando ci furono le perquisizioni, il 27enne Campanile, componente dello staff di Alfieri , operando per conto del sindaco, e D’Auria, procuratore speciale della Dervit, avevano concordato le strade da inserire nel progetto. E avevano stabilito i tempi, i costi e ogni dettaglio tecnico dei singoli interventi da appaltare, dando per certo che sarebbe stata la Dervit ad aggiudicarseli. E proprio l’azienda, aveva provveduto in prima persona a redigere gli atti. Poi era intervenuto il responsabile dell’Ufficio tecnico di Capaccio, Carmine Greco, il quale – dice la Procura – “operando sempre su mandato del sindaco Alfieri”, in una procedura aveva firmato in proprio i documenti predisposti dalla società e in un’altra aveva conferito incarico a un professionista esterno affinché firmasse la documentazione redatta dalla Dervit -per un compenso di 70mila euro poi non corrisposto . Inoltre Greco si era adoperato per invitare alle gare «ditte compiacenti o non aventi i requisiti» in modo da blindare l’aggiudicazione alla Dervit. Gli appalti così garantiti all’azienda sarebbero stati compensati dal fatto che la Dervit avrebbe poi concesso in subappalto alla Alfieri Impianti, società della sorella di Alfieri ma di fatto, secondo la Procura, riconducibile a lui, una parte dei lavori assegnati alla Dervit a Battipaglia con una terza gara da 1 milione di euro, non oggetto di inchiesta. La Alfieri Impianti, per questo avrebbe fatto risultare, inoltre, un maggior costo per i materiali forniti di oltre 250mila euro rispetto a quelli identici della Dervit acquistati dallo stesso fornitore. La somma è stata oggetto di sequestro assieme ad altri 293 mila euro corrispondenti al profitto conseguito dalla Dervit e derivante dal reato di corruzione.
Ulteriori elementi di illegittimità contestati sono il fatto che il Comune di Capaccio, per ottenere il finanziamento regionale, aveva falsamente attestato, con una dichiarazione a firma di Alfieri, che l’impianto di illuminazione era gestito da una società in house, quando invece era affidato ad un’Ati composta anche dalla Dervit e che per garantire i pagamenti all’azienda, visti i ritardi nell’erogazione del finanziamento, aveva approvato una perizia di variante , redatta ancora una volta dalla Dervit, per un ammontare di oltre 160mila euro.