Nuove grane giudiziarie per i costruttori Bertolini di Ascea. Questa mattina la Guardia di Finanza di Salerno ha sgominato un’associazione a delinquere operante nel Cilento, dedita al reimpiego nel settore edile di denaro di provenienza illecita. Le Fiamme Gialle hanno arrestato, a seguito delle indagini coordinate dal Procuratore capo di Vallo Antonio Ricci, cinque soggetti, tre in carcere e due ai domiciliari, accusati a vario titolo di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, impiego di beni o utilità di provenienza illecita, intestazione fittizia e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. Al centro della vicenda proprio la famiglia di costruttori Bertolini: in particolare padre e figlia, Giuseppe e Marianna, titolari del noto impianto di calcestruzzo di Castelnuovo Cilento, il più vecchio dell’area, e già arrestati per bancarotta fraudolenta nel 2013. Assieme a loro, coinvolti in questa che la Procura ha definito “associazione a delinquere di natura familistica”, anche il fratello Antonio, prestanome nelle diverse società satellite, ed il marito della figlia Aniello Saviano, imprenditore originario della provincia di Napoli. Nei guai è finito anche un carabiniere in servizio presso la stazione di Ascea, Ignazio Messana. L’indagine è partita dall’analisi della posizione economico-finanziaria di Giuseppe Bertolini che, nel tempo, aveva acquisito il totale monopolio nel settore dell’edilizia tra Ascea e zone limitrofe, reimpiegando il patrimonio accumulato in seguito a precedenti bancarotte fraudolente. L’indagine, partita da un anno e che si è avvalsa in passato anche del contributo dei Carabinieri di Vallo, si è sviluppata attraverso servizi di osservazione e pedinamento dei principali indagati e con intercettazioni telefoniche ed ambientali. Gli indagati avevano dato vita nel tempo ad una vera e propria società occulta che si trovava al vertice rispetto alla pluralità di imprese ad essa riconducibili. Attraverso tale società intestata al prestanome avevano messo in campo distrazioni e reinvestimenti, riuscendo ad utilizzare il patrimonio accumulato con le bancarotte, evitando il pagamento dei creditori e usufruendo ancora dei beni aziendali. A sostenerli anche un “sistema di amicizie” emerso nel corso delle indagini, come il carabiniere infedele, grazie al quale l’organizzazione veniva per tempo informata degli eventuali controlli presso i cantieri. La Guardia di Finanza alla fine ha apposto i sigilli a 59 fabbricati, 37 terreni e l’intero impianto di produzione di calcestruzzo con relative betoniere, per un valore complessivo superiore ai 10 milioni di euro. Costituivano il patrimonio aziendale illecitamente accumulato negli anni.
Daria Scarpitta