Una comunità partecipe e composta e un’atmosfera piena di dolore e di tenerezza hanno accompagnato Vittoria Piancastelli nel suo ultimo momento terreno. Alle 18.00 del 15 settembre 2015 la salma dell’attrice romana è giunta dalla Capitale nella chiesa Immacolata di Scario, nel borgo marinaro del golfo di Policastro, dove lei stessa, al termine della sua malattia, aveva espressamente richiesto di essere seppellita. Il piccolo centro abitato cilentano è, infatti, il paese natio di Bruno Cariello, marito di Vittoria e anche lui attore e regista. Il volto noto della fiction italiana era solita trascorrere le sue vacanze proprio in questo lembo di terra a sud della provincia di Salerno, luogo che amava e dove si recava spesso insieme alla sua famiglia, composta anche dal piccolo Giosuè, il quale non si è sottratto alla cerimonia d’addio della mamma. “Ve la affidiamo”: sono state queste le sentite parole di Bruno Cariello, rivolte ai presenti. “Quando Vittoria ha detto di voler rimanere a Scario dopo la sua morte, ho tremato e al tempo stesso ho gioito. Giosuè ed io abitiamo a Roma e quindi non potremo raggiungerla tutti i giorni, ma confidiamo in voi, certi che qui starà bene”. Durante la Santa Messa, officiata da Don Antonino Savino, più volte Vittoria è stata ricordata per il suo sorriso. Un collega invece, il lucano Ulderico Pesce, ha raccontato di un’esperienza professionale vissuta con l’attrice in Russia, quando entrambi erano stati scelti da Anatoli Vassiliev per un impegno teatrale che li avrebbe tenuti lontani dall’Italia per quattro anni. In quel periodo- ha riferito Pesce- Vittoria non faceva altro che parlare del suo Bruno, dicendo che lei doveva rincasare e raggiungere il Cilento perché il suo desiderio più grande era quello di sposarsi e formare una famiglia con lui. E così fu. Lei rinunciò a quell’importante occasione lavorativa e dopo un anno tornò in Campania. Vittoria Piancastelli, di fatto, era una donna molto credente, di devozione Mariana e che si è sempre lasciata condurre dalla fede, portandola con sé ovunque, anche sulla scena e fino al giorno in cui se n’è andata. Al termine dei funerali, una nipote dell’attrice, immaginando la volontà di Vittoria di consolare il marito e il figlio, ha recitato una lettura di Sant’Agostino: “La morte non è niente…”.
La morte non è niente. Sono solamente passata dall’altra parte: è come fossi nascosta nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.
Al termine della lettura, dai primi banchi un uomo si è alzato, si è educatamente avvicinato al leggio e parlando alla comunità di Scario ha detto: “Io sono il papà di Vittoria.. Vorrei solamente ringraziarvi”. La Santa Messa si è conclusa dopo due ore intense di riflessione e di preghiera. Il feretro è stato salutato con un “ciao Vittoria” e un lungo applauso, con cui si è voluto esprimere l’immenso dispiacere e affetto verso una donna e una mamma stimata e ben voluta da tutti.
Caterina Guzzo
La morte non è niente. Sono solamente passata dall’altra parte: è come fossi nascosta nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.