E’ stato ricevuto oggi a Napoli Francesco Mangiacapra, l’autore del dossier scandalo sulle abitudini sessuali di una sessantina di sacerdoti. Ha incontrato il cancelliere arcivescovile, padre Luigi Ortaglio, una persona di cui Mangiacapra si è fidato e in cui ha visto un interlocutore pronto ad ascoltare, come già era avvenuto nel caso precedente di “Don Euro”, alias Luca Morini. “Ho collaborato – ha spiegato Mangiacapra – all’identificazione e allo smistamento del materiale da me fornito, a supporto delle informazioni già date. Ho firmato i verbali”. Da qui, dunque, parte ora la suddivisione e il trasferimento ai vari vescovi di quanto contenuto nel dossier . Nella vicenda sono coinvolti alcuni sacerdoti anche della Diocesi di Teggiano-Policastro e, dunque, presumibilmente in questi giorni le informazioni relative dovrebbero arrivare sulla scrivania di Mons. Antonio De Luca. “Ci tengo a precisare- ha detto Francesco Mangiacapra – che i nomi io li ho fatti ma in Curia e fornendo delle prove. Circola, invece , su Whatsapp , una lista con una mia presunta firma che contiene nomi di alcuni sacerdoti che non conosco e che , senza prove, si imputano come gay. Qualche sciacallo vuole usare il mio coraggio per infangare qualcuno.” Le intenzioni perseguite da Mangiacapra con la presentazione del dossier alla curia napoletana, invece, sono di tutt’altro genere. “Mi batto- ha detto- per l’autodeterminazione e la libertà sessuale come base dei diritti civili e le mele marce all’interno della Chiesa sono un ostacolo al progresso civile.” Una causa ideologica dunque, e non un modo per ottenere denaro o attenzione mediatica. “ Non ricevo né ho mai chiesto soldi per le interviste, e la visibilità è relativa non a me, ma alla causa ideologica che porto avanti. E’ inutile e dannoso fare ora il “toto-preti”. Quello che conta è riflettere, sollecitare queste persone a fare un mea culpa relativo alla compatibilità tra il colletto bianco che indossano e la condotta che incarnano, mostrare l’incoerenza tra ciò che dicono in pubblico e ciò che fanno nel privato. E per questo non servono i nomi. Di certo non avrei mai messo delle persone alla berlina su Whatsapp”. La questione però c’è ed è reale. “Non c’è nulla di inventato nella documentazione fornita alla Curia. Sono fatti circostanziati”.
Daria Scarpitta