Sul processo a Suor Soledad la Cassazione riapre i giochi sul piano civile per le tre consorelle coinvolte e sancisce l’uscita definitiva dal processo del muratore Aniello Labruna e del fotografo Antonio Rinaldi, finiti loro malgrado al centro del secondo filone dell’inchiesta. Nella giornata di lunedì la Suprema Corte ha annullato, con rinvio alla Corte d’Appello per gli interessi civili, la sentenza di secondo grado limitatamente ai reati di violenza sessuale, contestato a Suor Soledad, e favoreggiamento, di cui erano accusate altre due suore dell’Istituto Santa Teresa. La Corte d’Appello di Salerno in secondo grado aveva già assolto tutti gli imputati e poiché il Procuratore generale, a cui il nostro sistema giudiziario riserva l’iniziativa, non aveva ritenuto di dover presentare ricorso in Cassazione, il processo sulle responsabilità penali degli imputati si era definitivamente chiuso. Gli avvocati delle famiglie dei bambini coinvolti però hanno presentato ricorso almeno sul piano civile e dopo che anche il Procuratore della Cassazione ha definito la sentenza di Appello scialba ieri la Corte Suprema l’ha annullata nella sua prima parte. Quindi verrà aperto ora un nuovo giudizio dinanzi questa volta alla Corte d’Appello civile di Salerno dove le famiglie dovranno dimostrare di aver subito un danno per poter eventualmente arrivare al riconoscimento di un possibile risarcimento. Il ricorso dei legali di parte civile era stato presentato contro tutti gli imputati ma la Cassazione lo ha respinto nella parte relativa al muratore e al fotografo per i quali dunque la vicenda si chiude definitivamente. “Il ricorso contro un umile lavoratore come Aniello Labruna– ha commentato il legale del muratore, Franco Maldonato- era stato proposto sebbene nei suoi confronti fosse già stata pronunciata una doppia sentenza di assoluzione dei giudici di merito. La Cassazione nel rigettarlo ha chiuso una vicenda che non avrebbe dovuto mai aprirsi e che ha provocato dolori insanabili e danni non ristorabili, anche per effetto della risonanza mediatica della vicenda».
Daria Scarpitta