Era stato sottoposto ad un trapianto di rene e aveva cominciato a sperare in una nuova vita ma poi dopo soli sei mesi è morto per un carcinoma. E’ quanto accaduto nel 2013 ad un 63enne di Vallo della Lucania. Sorte analoga toccata anche ad altre due persone che avevano ricevuto degli organi dallo stesso donatore ed erano morte di lì a pochi mesi. Ora il caso incredibile, che ha una valenza nazionale, grazie anche all’insistenza dell’avvocato della famiglia dell’uomo Riccardo Ruocco, è stato riaperto, dopo che una richiesta di archiviazione aveva rischiato di far cadere ogni ipotesi accusatoria. Al momento unico indagato per omicidio colposo risulta essere un noto primario del mantovano che eseguì l’espianto degli organi. La vicenda inizia nel 2005 quando l’uomo di Vallo della Lucania, che gestiva un’impresa commerciale familiare, scopre di avere dei problemi ad un rene. Tre anni dopo entra in lista d’attesa per un trapianto. Ci sono poche speranze, la lista è lunga. E’ solo dopo 4 anni, sul finire del 2012, che viene chiamato presso l’ospedale di Varese per essere operato. Tutto fila liscio, anche nella fase di convalescenza. L’uomo torna pian piano alla sua vita quando nel giugno 2013 nel corso di un controllo di routine a Varese, le sue condizioni si aggravano e muore nel giro di un mese senza riuscire a tornare in terra cilentana. All’epoca l’improvviso decesso fece subito insospettire i familiari che sporsero denuncia. E furono proprio le indagini difensive a fornire le prime sconcertanti verità. La morte del 63enne non era avvenuta per rigetto ma per tumore, il donatore del rene, originario del bresciano, era morto suicida e altri due pazienti che avevano ricevuto dallo stesso donatore un altro rene e un fegato erano morti nel giro di un anno dal trapianto a causa di un tumore. Facile sospettare che il donatore potesse essersi tolto la vita dopo aver scoperto di avere una brutta malattia. Di qui le indagini di competenza della Procura di Mantova. Ora, dopo diversi anni e una richiesta di archiviazione, l’inchiesta è ripartita. Bisognerà stabilire se il carcinoma era in atto al momento in cui gli organi sono stati prelevati e se dunque ci sono delle colpe ascrivibili a chi non si è accorto di tutto questo e in qualche modo ha favorito che la patologia tumorale si trasferisse dal donatore ai riceventi. Con ogni probabilità verranno ordinate ulteriori indagini tecnico-legali e non si esclude che anche le altre famiglie dei pazienti morti dopo il trapianto possano decidere di farsi avanti in questa vicenda giudiziaria.
Daria Scarpitta